Le Mura di Gerico

Il Libro di Giobbe

Pubblicato da Claudio Pisapia il

Il libro di Giobbe fa parte dei ‘libri sapienziali’ della Bibbia. Libri in cui l’uomo si confronta con un Dio passato alla fase 2, più tranquillo rispetto al Dio irascibile e guerrafondaio rappresentato nel Pentateuco. In preparazione, forse, per la fase successiva del buono e saggio Dio del d.c.. In questi libri c’è spazio per la riflessione e in particolare si cerca di capire come mai anche i buoni soffrono. Perché Dio permette che anche chi dedica la sua vita agli altri possa soffrire come i cattivi, i bestemmiatori, coloro che non osservano i suoi comandamenti, coloro che non sono giusti. Perché ci sono buoni che muoiono senza aver mai provato la felicità.

Ed è proprio questo il dilemma che affronta Giobbe. Uomo di provata lealtà divina, sempre pronto a offrire i suoi sacrifici (olocausti) “uomo perfetto, integro, timorato d’Iddio e alieno dal male” e universalmente riconosciuto come benedetto da Dio (infatti era molto ricco), aveva “settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di bovi e cinquecento asine, e servitù assai numerosa” oltre che sette figlie e tre figli.

Insomma, mai avuto da ridire con Dio, una vita tranquilla fatta di riti quotidiani e amore universale. Ma ad un certo punto ci mette il dito satana che instilla in Dio qualche dubbio: “non hai messo una siepe intorno a lui e intorno alla sua casa e a tutto ciò che è suo? Hai benedetto l’opera delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca tutto quel che è suo: vedrai se non ti benedice in faccia“. La risposta di Dio: “Ecco tutto quello che è suo è in mano tua, ma non stendere la tua mano su di lui“.

Cioè, secondo me (dice il satana) a Giobbe piace vincere facile: facile essere devoto e pio quando si possiede tutto, si è ricchi, amati, sani e con tanti figli intorno. Sarebbe così devoto se non avesse tanta benedizione? se fosse malato e sofferente? Sarebbe dunque il caso di metterlo alla prova. Togliamogli tutto, facciamolo soffrire, facciamogli del male e poi vediamo cosa succede.

Dio accetta, mette Giobbe nelle mani di satana con l’unica condizione di non ucciderlo. E da qui iniziano le maledizioni, gli muoiono i figli, gli animali vengono uccisi o rubati come pure le terre. Alla fine rimane povero e quando il satana vede che ancora non si piega all’odio lo fa ammalare dandogli piaghe in tutto il corpo. La moglie cede e gli rinfaccia il suo amore e la sua fedeltà per Dio, perché ti fa questo? Accorrono tre amici che cercano di consolarlo, gli parlano cercando di fargli ammettere di aver peccato, è chiaro che hai peccato altrimenti non saresti in queste condizioni!

Giobbe dapprima fa tacere la moglie, visto che Dio da’ può anche togliere, zittisce e contrasta le tesi degli amici ma poi ha un cedimento, un momento in cui maledice persino il momento della nascita. Ma non vuole abbandonare Dio, anzi vuole parlargli, vederlo. Per chiedergli il perché lo stia facendo soffrire in quel modo, tanto male proprio a lui che era sempre stato il suo più fedele servitore. Giobbe non sconfessa il suo amore per Dio ma adesso pretende di essere ammesso alla sua presenza e che lui gli spieghi il perché di tutto questo “puro sono io, senza peccato, io sono mondo e non vi è colpa in me, ma egli trova pretesti contro di me, e mi ritiene come suo nemico, mette in ceppi i miei piedi, osserva tutte le mie strade” e “io sono giusto ma Dio mi ha tolto il mio diritto: difendo la mia giustizia e sono creduto mentitore, la mia piaga è mortale benché io sia senza colpa

Come dire, ma che t’ho fatto? io sono il buono in questa storia ma tu mi tratti come il peggiore dei cattivi. Mi togli tutto, mi fai morire i figli e copri il mio corpo di piaghe. Si potrebbe aggiungere, ma qual è il senso, in un mondo di cattivi, andare a regalare sofferenza a quei pochi buoni, agli innocenti. Domande di respiro universale, i bambini che urlano pane, le bombe che non fanno differenze, il mare gonfio di migranti, la giustizia degli uomini che si nega ad altri uomini. Dov’è Dio in tutto questo?

E Dio risponde alla chiamata, appare a Giobbe, gli parla e gli spiega tutto … a modo suo ineccepibile. Una risposta da Dio. Meravigliosa.

Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano: «Chi è mai costui che oscura il mio piano
con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai”
Partenza sprint! tu non sai chi sono io evidentemente, allora facciamo che tu puoi interrogarmi e io ti risponderò. Perchè tu, Giobbe, visto che vuoi vedermi e addirittura chiedi un confronto, dove eri quando io ‘costruivo’ il tutto? “Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente!
Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare?
Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio? Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura,
quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?
Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora, 13perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire?
Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato?
Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra tenebrosa?
Hai tu considerato quanto si estende la terra?
Dillo, se sai tutto questo!
Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa
?” e continua …

Dio gli dice, io ho fatto tutto questo, cosa vuoi che ti spieghi? “Il censore vuole ancora contendere con l’Onnipotente? L’accusatore di Dio risponda!

E Giobbe a quel punto si rende conto dell’errore. Non puoi chiedere a Dio il perché. Il bene che gli devi volere è un po’ come il voler bene a una squadra di calcio, ti va bene tutto anche quando i suoi bilanci sono in rosso, qualche giocatore si vende la partita, alcuni tifosi intonano cori razzisti, bancarotta, serie b, eccetera eccetera. E capisce che non doveva chiedere, che ha sbagliato e gli resta solo di scusarsi e sottomettersi di nuovo senza se e senza ma, e risponde: “Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò” e più avanti ammette tutta la stoltezza. Si è permesso la licenza di chiedere quando invece doveva subire in silenzio “Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile. Chi è colui che, da ignorante, può oscurare il tuo piano? Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo” e rimette le cose nel giusto ordine “Ascoltami e io parlerò, io t’interrogherò e tu mi istruirai!

La storia finisce bene, per così dire. Giobbe ritorna nelle grazie del Signore “Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie. Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea. In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell’eredità insieme con i loro fratelli. Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni. Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.

Qui non si parla di aldilà ne di eternità o regni ultraterreni. Il Dio di Giobbe lo ri-benedice sulla Terra raddoppiandogli le ricchezze e gli concede altri figli. Pace per quelli andati all’inizio della prova.

Una storia che soddisfa sicuramente chi ha fede, chi vede nella sofferenza l’espiazione di qualcosa, antichi peccati magari. Un testo che in fondo parla di sottomissione, la salvezza dal male si ottiene attraverso l’annullamento di qualsiasi pretesa personale. La virtù dell’obbedienza, dell’accettazione assoluta. La risposta al perché anche i buoni soffrano non c’è davvero, a meno che non si accetti come risposta “perché è così e basta con queste sciocche domande”. E manca anche il fondamento cristiano della vita eterna, sembra che tutto si svolga nella carne, ma questo è un’altra storia ovviamente. Non c’è soluzione al dramma della morte e non si fa luce su cosa aspetta l’uomo oltre la vita, ma Giobbe non si pone questo problema e magari non se lo pongono i cristiani che hanno avuto la risposta quattro o cinque secoli dopo la probabile scrittura di questo testo (lo scritto risale probabilmente al V – IV secolo a.c.).

Ci sono troppe cose che l’uomo ancora non capisce, l’universo, gli spazi infiniti (forse), l’inizio e soprattutto la fine. E a questi interrogativi per millenni ha dato risposte la religione, quasi sempre con la fede. Qualcosa che non si può spiegare viene spiegato con qualcosa che non si può spiegare. Olocausti e devozione, testa bassa e preghiere per superare la paura e darsi un senso. In ogni caso a Giobbe non viene data la vita eterna e non supera la morte, per gioco gli vengono tolti beni e affetti e per lieto fine gli viene ridato il doppio di quello che ha perso. Forse per superare il trauma dei dieci figli fatti morire per metterlo alla prova.


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