Riflessioni sul mondo grande. Oltre l’ordine occidentale delle cose.
I Paesi del Global South prendono forma. Provano a definirsi per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale in maniera autonoma, con azioni precise e in contrasto con le volontà occidentali. Hanno voltato le spalle a Stati Uniti ed Europa rifiutandosi di applicare le sanzioni alla Russia e, attraverso una sempre più ampia adesione ai paesi BRICS, cominciano a sostituire le proprie valute al dollaro nelle transazioni internazionali.
Il concetto di Global South è abbastanza indefinito, ma proprio per questo può aiutarci a comprendere ed accettare meglio la complessità del mondo, l’esistenza della diversità e la molteplicità dei valori che lo compongono. In genere quando l’Occidente parla di valori tende a dare alle proprie convinzioni un valore universale. Li pensa necessariamente e automaticamente applicabili agli 8 miliardi di persone che abitano i 193 paesi riconosciuti dall’ONU (qualcuno in più utilizzando parametri diversi). In realtà sta semplicemente espandendo a dismisura il suo ego.
E questa “esagerazione” della portata dei valori occidentali conduce molto spesso a errori di valutazione, ad esempio quando si giudica la politica estera russa, quando si vorrebbe applicare i diritti civili all’Iran o all’Arabia Saudita come se si trattasse del Canada o della Finlandia o quando si pretende di applicare i principi del capitalismo e dell’economia concorrenziale alla Cina.
Il Global South è un concetto non nuovo, post colonialista e che si è chiamato, senza appunto mai definirsi completamente, in diversi modi: non allineati, terzo mondo, paesi in via di sviluppo. Diversi nomi ma alla fine sono sempre quelli là, perché a creare le definizioni non sono mai loro ma sempre noi.
L’Occidente, il Nord che distribuisce le carte, rappresenta più o meno un quarto della Terra e ancor meno in numero di persone mentre Global South è tutto il resto. A gennaio del 2022, l’indiano Modi ha ospitato un “Voice of the Global South Summit” virtuale che includeva 125 paesi. Per le Nazioni Unite il Sud del mondo è una sorta di scorciatoia per riferirsi in generale ai paesi in via di sviluppo. L’ONU attualmente elenca 181 giurisdizioni di questi paesi o territori e 67 giurisdizioni come sviluppate.
Insomma, sono tanti. Che contano però poco. Ma è storia di disuguaglianza che funziona anche all’interno degli schieramenti, non solo tra gli schieramenti.
Il Sud del mondo non è nemmeno esattamente al Sud perché ci mettiamo dentro anche il Kazakistan e non sono solo i più poveri perché ci mettiamo dentro il Bahrein e la Malesia, che ha raggiunto un PIL pro capite di 11.972 dollari ed è attualmente classificata al 37° posto tra le principali economie. Segnaliamo anche che l’inflazione in Malesia nel 2022 è stata di circa il 3,38%. All’interno dell’UE, la media nello stesso anno è stata dell’8,83%. Negli Stati Uniti, di recente, è stato dell’8,00%.
A livello geopolitico in questo Sud si collocano anche l’India e la Cina. Entrambe dotate di armamento nucleare, ricercatissime sul piano delle alleanze, nell’ordine quinta e seconda tra le potenze mondiali in ordine di PIL.
I Global South, come anticipavo, sono venuti all’onore delle cronache quando l’ONU ha messo ai voti le sanzioni alla Russia. Con grande sorpresa dell’Occidente si è palesata l’esistenza di altre realtà, sfaccettature, che trasformano un conflitto determinante per la libertà, per la giustizia e il futuro del globo in un conflitto regionale, “cose tra bianchi”, come ebbe a dire l’indiano Modi.
Tanti paesi non votarono le sanzioni, e oggi ancor di più non le applicano, semplicemente perché non vedono la Russia con i nostri occhi e quindi con i nostri (pre) giudizi. Le hanno ritenute “occidentali”, valori a cui non si sentono in dovere di aderire se non costretti.
I BRICS, ovvero quei paesi che stanno cercando di creare un’opposizione organizzata al gruppo guidato dagli Stati Uniti, non sono i Global South ma da quei paesi stanno attingendo e stanno crescendo anche dal punto di vista del PIL e si stanno facendo notare anche con effetti speciali.
Putin, ricercato dalle Corti giudiziarie europee, è stato accolto nel suo ultimo e recentissimo viaggio in EAU, uno dei sei nuovi Paesi appena entrati nel sodalizio, in pompa magna. Tappeto rosso e onori da parte di tutti i dignitari di corte. Persino l’Arabia Saudita, punto focale per le alleanze americane nel Golfo, dal 1 gennaio 2024 ne fa parte insieme al nemico di sempre, l’Iran. Occhio, dunque, agli interessi personali, strategici ed economici.
Queste frizioni interne e diversità di interessi regionali rendono del resto anche i BRICS un concetto confuso quanto l’intero Sud globale. Cresce la dispercezione del concetto mondo, ma il disordine risultante aiuta a capire che i nostri schemi di pensiero sono obsoleti.
Affermare l’esistenza di un Sud del mondo conferma la realtà di un Nord chiuso in se stesso, nelle sue idee vendute per universali, pretese superiori senza contraddittorio. Certo, difficilmente chi nasce occidentale vorrebbe morire qualcos’altro, ma la soluzione non è pretendere occidentale il mondo globale, soprattutto quando questi è molto più grande e abitato del nostro. E ci sta urlando che è ora di cambiare.
Quello che dovrebbe essere il futuro è lasciar vivere e coesistere. Persino se il modo di vivere degli altri non ci piace. Curarci dell’Occidente, definirlo e fare in modo che valga la pena difenderlo ma dentro i suoi confini. Partecipare e non scompaginare. La lettura di altri popoli con i nostri standard porta all’incomprensione, alla pretesa che gli altri debbano cambiare. Ma in questo modo stiamo facendo quello che diciamo di odiare, ci affermiamo superiori. E pretendendo migliore il nostro modo di pensare e di intendere la vita rischiamo di approvare una supremazia culturale che implicitamente distruggerebbe gli stessi valori che dovrebbero qualificarci come migliori.
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