Le Mura di Gerico

BOMARDAMENTO IN YEMEN. ANCORA.

Pubblicato da Claudio Pisapia il

La guerra civile in Yemen iniziò nel 2014, e vide contrapposti gli Houthi al governo legittimo e riconosciuto dalla comunità internazionale. Il presidente Abd Rabbu Mansur Hadi fu costretto a rifugiarsi in Arabia Saudita. A quel punto l’Arabia Saudita, per non dover gestire alle sue frontiere la presenza di un gruppo sciita alleato con l’Iran, suo storico nemico, avviò una massiccia campagna di bombardamenti contro gli Houthi, proseguita poi a fasi alterne per diversi anni.

Gli Houti sono quindi sostenuti dall’Iran (sciiti) e quindi la guerra con l’Arabia Saudita (sunniti) assume la forma di proxy war, cioè di una guerra per procura. Due nazioni si combattono senza dichiararsi ufficialmente guerra su un territorio terzo, in questo caso lo Yemen appunto. La posizione saudita trova inizialmente l’approvazione occidentale (cioè degli USA e UK), poi visti i continui e massicci bombardamenti e le tante vittime civili la disapprovazione generale.

Oggi a bombardare lo Yemen sono Stati Uniti e Gran Bretagna mentre l’Arabia Saudita che pure aveva, per così dire, difeso Israele intercettando qualche missile diretto appunto a Tel Aviv se ne tiene alla larga. Aveva infatti con fatica cercato di smorzare i toni dopo un decennio infruttifero di guerra e distruzioni e si era avviata verso una pacifica convivenza.

Le conseguenze di questi attacchi, benchè limitati in termini di valore strategico o di danni inferti, potrebbero avere conseguenze gravi per il ruolo delle potenze occidentali nell’intera ragione in quanto potrebbero contribuire a radicalizzare le posizioni del mondo arabo anti occidentali e quindi portare ad ampliare gli attacchi alle navi commerciali in transito nel Mar Rosso. Potrebbero inoltre amplificare la retorica anti occidentale di paesi come la Cina, la Russia, l’Iran e di tutti quelli appartenenti ai BRICS, oltre ovviamente ai paesi mussulmani o arabi classici.

Insomma, la solita mentalità interventista occidentale che viene fatta passare per decisione unanime dei paesi occidentali ma che in realtà si limita a decisioni americane e britanniche seguite per dovere di sottomissione da gran parte dei paesi europei, tra cui ovviamente l’Italia, potrebbe pagare sempre di meno e creare caos sempre di più.

Di fatto, nemmeno negli Stati Uniti è stata accolta bene. Il frastagliato e multiculturale emiciclo parlamentare americano ribolle.

Biden “sta violando l’Articolo I della Costituzione effettuando attacchi aerei nello Yemen senza l’approvazione del Congresso. Il popolo americano è stanco di una guerra infinita”, ha attaccato su X la deputata Rashida Tlaib, figlia di immigrati palestinesi, prima donna di religione islamica ad essere eletta al Congresso statunitense e tra i deputati maggiormente critici nei confronti dell’amministrazione per il sostegno ad Israele.

“Il Presidente deve presentarsi al Congresso prima di lanciare un attacco contro gli Houthi nello Yemen e coinvolgerci in un altro conflitto in Medio Oriente. Lo stabilisce l’articolo I della Costituzione che io difenderò indipendentemente dal fatto che alla Casa Bianca ci sia un democratico o un repubblicano”. ha scritto il deputato democratico Ro Khanna, di origine indiana precisando che l’emendamento all’articolo 1 che consente al presidente di ordinare un raid in risposta ad un attacco contro le forze armate USA vale solo “quando gli Stati Uniti sono sotto attacco imminente. Questi raid sono stati un’azione offensiva”.

Per ora coloro che si spacciano per “mondo” quando decidono sono i governi di dieci Paesi (Australia, Bahrein, Canada, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Repubblica di Corea, Regno Unito e Stati Uniti) che hanno riconosciuto come legittimi i raid anglo-americani effettuati con il sostegno di Paesi Bassi, Canada, Bahrein e Australia (che hanno propri uomini presso il comando navale della 5a Flotta USA in Bahrein ma non hanno partecipato alle incursioni) definendo le operazioni in conformità con il diritto intrinseco all’autodifesa individuale e collettiva, in linea con la Carta delle Nazioni Unite.

Ma il mondo è più grande e meno compatto da come lo vediamo da casa nostra.


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