ISRAELE E UCRAINA. L’INIZIO DELLA FINE.
Israele sta allargando il conflitto ai paesi confinanti, prima in Libano e adesso in Siria attaccando tra l’altro un edificio iraniano coperto da immunità diplomatica. Attaccare un’ambasciata o un consolato straniero è come attaccare il Paese che rappresenta, quindi l’attacco può essere interpretato come un attacco all’Iran. Ma perché farlo? perché allargare un conflitto che si protrae oramai da sei mesi e che sta avendo l’unico risultato di aggiungere morte e disperazione alle stragi del 7 ottobre?
Israele sta in realtà perdendo la guerra, e non solo quella mediatica. Oramai il consenso del mondo, dopo i fatti del 7 ottobre 2023, è un lontano ricordo e ha lasciato il posto ad uno sgomento generale nel vedere la strage di civili, la distruzione di abitazioni civili e ospedali, l’ammassamento della popolazione palestinese, uomini, donne e bambini senza distinzioni, ai confini dell’Egitto. Senza una via di fuga concessa e con il blocco dei rifornimenti agli ingressi di quella che sempre più appare come una prigione a cielo aperto.
E bloccare il cibo e l’accesso all’acqua non si può considerare azione di guerra. Il mondo sta cominciando a considerarla per quello che è, anche senza tenere in conto l’ultimo assalto e assassinio degli operatori umanitari a Deir el-Balah, nella striscia di Gaza. E’ lecito e palese parlare oramai di tortura. Sotto gli occhi increduli del mondo.
Tra le vittime di Deir el-Balah anche cittadini polacchi, australiani e britannici, cosa che ha fatto salire la disapprovazione generale e dato il colpo finale al classico appoggio incondizionato degli Stati Uniti che oggi chiede un immediato cessate il fuoco.
Ma il punto è che gli attacchi perpetrati ai danni degli iraniani in Siria segnalano un certo grado di disperazione degli israeliani che cercano apertamente lo scontro con l’Iran e gli altri paesi arabi del circondario. Un conflitto regionale che costringerebbe gli Stati Uniti all’intervento e magari all’instaurazione di un nuovo ordine in Medio Oriente. Ordine al momento compromesso dalle azioni e dalle politiche di Netanyahu e del suo staff, sempre più inviso alla sua popolazione.
Forse una forte opposizione interna che portasse al licenziamento di questi personaggi potrebbe portare ad una risoluzione del conflitto, ma al momento non se ne vede la possibilità
Anche in Ucraina la situazione è per certi aspetti simile. L’Ucraina sa di aver oramai perso, i rifornimento americani dell’inizio dell’invasione russa sono oramai un ricordo e i suoi generali parlano apertamente della mancanza di munizioni, di uomini e di una situazione sempre più critica.
Per questo motivo si appoggia sempre più alla Francia, alla Polonia e ai Paesi Baltici con la speranza di allargare il conflitto e costringere gli USA e la Nato ad un intervento diretto. La Francia intravede la possibilità di mettersi alla guida di un futuro esercito europeo grazie alla sua capacità nucleare e quindi spalleggia i Paesi ex sovietici nella loro paura atavica e a tratti esagerata o poco fondata nei confronti della Russia. Questi temono infatti che dopo l’Ucraina possano finire nelle mire espansionistiche di Putin, mire anche queste difficili da basare su fatti concreti, analizzando le risorse sia militari che economiche della Russia.
Il rischio anche qui è che la disperazione porti a qualche mossa avventata di questi paesi con il rischio di un’escalation che potrebbe portare una guerra davvero simile a quelle mondiali, quasi completamente combattute sul suolo europeo e che ne causarono il quasi annientamento. Con la novità delle armi nucleari a disposizione di troppi attori.
Due conflitti, insomma, che stanno tenendo con il fiato sospeso il mondo perché, nella loro fase finale, stanno cercando di coinvolgere gli attori in possesso degli armamenti più devastanti in circolazione, USA e Nato. Coinvolgimento che si potrebbe rivelare devastante, se non … definitivo.
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